Il nostro Made in Italy nelle tasche delle multinazionali estere
News Turismo - Siamo sicuri che l’Italia sia degli italiani? In tal senso e provocatoriamente il Gruppo ComunicareITALIA apre il dibattito on line a cura del direttore Viviana Normando.
Prima parte
L’Italia rischia grosso. E’ necessario creare sinergie per salvare Aziende e Patrimonio Culturale italiano.
Lo dice Fabio Gallo – esperto di intelligenza connettiva, relatore nella scorsa Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali insieme a Derrik De Kerckhove, sul futuro della connettività.
Fabio Gallo che due mesi prime disse che Google sarebbe stato battuto (così è accaduto con Facebook) afferma che il più grave dei rischi nell’epoca digitale è quello di perdere la proprietà del diritto alla propria cultura, ai propri beni, alla propria memoria con una conseguente e complessiva ricaduta in termini di danno permanente, a svantaggio del Lavoro italiano e dell’ economia in generale. Ciò poiché qualcuno potrebbe gestirla e condizionarne tanto la fruizione quanto il diritto ad essa.
Un danno – afferma Fabio Gallo – che si rifletterebbe con gravi ricadute sull’economia del Turismo, dell’Agroalimentare, nel mondo dell’artigianato e dei mestieri che sino ad oggi hanno cesellato il volto dell’Italia celebre nel mondo anche per il conio del marchio più venduto, produttivo e imitato: il Made in Italy. Complessivamente il danno sarebbe dell’intera società civile.
Questo rischio non è calcolato (se non da pochi) e deriva dall’assoluta ignoranza (vera o che si vuole far credere) in materia di gestione della conoscenza, da parte di talune istituzioni che si trovano al Governo politico della cosa pubblica in Italia.
Questo danno sarebbe enorme e proporzionale al peso che l’intero Patrimonio culturale italiano ha una volta reso produttivo nell’industria del digitale. Miliardi di Euro di royalty all’anno che, come nel sistemi di gestione delle prenotazioni turistiche, si accingono a passare nelle casse delle multinazionali estere.
Attualmente il mercato on line del sistema Italia muove oltre 6,5 miliardi di euro. Impossibile stimare cosa accadrà quando si renderà produttiva la miniera della cultura italiana.
Per questo motivo Fabio Gallo e la Fondazione “Paolo di Tarso” lanciano il loro appello al fine di sollevare in breve uno spirito di corpo tutto Tricolore a tutela dell’italianità e del Made in Italy. Le idee Gallo le ha chiare.
Oggi, infatti, nell’epoca in cui i contenuti digitali sono tutto per il mondo della comunicazione, sempre più personale e mobile, possedere immagini e i relativi diritti, produce più della proprietà del bene stesso. La nuova ricchezza, infatti, proviene dalle visite virtuali dei Beni Culturali che non costano rifacimenti di facciate, restauri, guardianie e sistemi di allarme. Inoltre, il virtuale produce un servizio e un diritto sul suo sfruttamento erogato a pagamento ad ogni cittadino che ha un telefono in tasca. Dunque produce economia.
Oggi, infatti, il telefono cellulare non è più un dispositivo con il quale si conversa e basta ma un compagno di vita che ci collega alla società, ai suoi servizi e ci aiuta ad accedere in essi, ci guida nelle scelte.
Perché si possa produrre realmente economia in Italia – continua Fabio Gallo – il diritto di sfruttamento dei beni italiani, per legge, dovrebbe rimanere all’Italia. Ciò consentirebbe al Governo italiano di avere margini importanti di trattativa con tutto coloro i quali, offrendo un servizio da una parte, si appropriano del Valore Italia dall’altra. Fermo rimanendo la disponibilità a collaborare con tutti: motori di ricerca ecc, ecc.
Fabio Gallo conclude aprendo ad uno scenario apocalittico sul futuro della gestione delle risorse in rete e ricostruisce la storia di Google che partendo come “motore di ricerca” è riuscito sino ad oggi a far credere che sia solo questo. Invece, appena messo a punto il suo algoritmo, Google ha iserito le inserzioni pubblicitarie a pagamento. Immediatamente dopo, appena capitalizzato, crea uno strumento per il “webmaster” che guida al migliore utilizzo del motore che, di fatto, pilota il mondo della rete all’interno del suo ventre connettivo che gestisce la conoscenza di tutti. Ma Google comprende che senza contenuti la vita è breve e investe nella digitalizzazione dei grandi capitali culturali del mondo tra cui beni librari, museali, ecc. Ovviamente tratta i diritti del loro utilizzo. Poi, mentre arrivano i contenuti, arrivano Google Earth e Google Maps sui quali questi contenuti si possono collocare per creare un mondo reale di servizi commerciali: ristoranti, hotel, farmacie, musei, chiese, monumenti, uffici, ecc, ecc. Quindi arriva Google Libri, Google News, You Tube e molto altro.
Attenzione: Google nella sua semplicità visuale (una stringa, tu chiedi e io ti rispondo) sembra proporre un volto neutro e amico di tutti. Ma fino a quando? Pensate che un quotidiano regolarmente depositato al Tribunale di competenza per esistere in Google si vede ovviamente costretto a segnalarsi, inserisce i suoi dati, il suo indirizzo URL, ecc.
Al momento dell’invio dei dati la sorpresa: Google ringrazia ma dichiara di non potere assicurare sul motore di ricerca la presenza della testata. Segno, questo, di un piano di democrazia evidentemente inesistente e privo di garanzia che tenta di far passare per un servizio alla collettività quello che invece è il più grande sistema monopolistico di gestione della conoscenza.
Oggi si apprende che il Governo della Repubblica Italiana tratterebbe l’opportunità di affidare a Google la gestione della conoscenza Museale italiana. Così facendo, un capitale per volta, la gestione di rete del più imponente Capitale Culturale del Mondo, sarà si “Made in Italy”, ma nelle tasche degli altri.
In questa vicenda quella che per davvero è interessante è la morale che ne trae il Direttore di ComunicareITALIA.
Se le Aziende italiane di settore non sapranno creare in modo fulmineo sinergie finalizzate alla gestione della risorsa costituita dal patrimonio culturale italiano, le stesse, perderanno il terreno edificabile delle nuove economie. Una sinergia in tal senso sarebbe anche una novità assoluta per due motivi: il primo, per continuare ad essere costruttori di italianità; il secondo, per gestirne il, bene italiano da investire in lavoro. Ciò consentirebbe l’attuazione di un piano di riappropriazione responsabile del valore del Made in Italy e la meccanizzazione (complice l’Italia) del gusto italiano che è economia inossidabile.
In questo settore l’illuminato cammino della Fondazione Paolo di Tarso www.paoloditarso.it otterrà certo ottimi risultati perchè, dopo avere analizzato il mercato della rete, propone concretamente soluzioni alternative che possono essere il fulcro di un sistema moderno e italiano di gestione della conoscenza.
Seconda parte
Con alcuni esempi spiegheremo meglio come il Sistema Italia e ciò che definiamo Made in Italy, sia sempre più un valore che non produce più economia italiana.
Avevamo nostro malgrado accettato l’idea e il fatto, fin dagli anni ’80-90, che lo studio e l’analisi dell’opera, parte importante della moderna procedura di restauro, ad esempio del più grandioso progetto pittorico del rinascimento, la Cappella Sistina, con il Giudizio Universale di Michelangelo e tra i dipinti di Ghirlandaio, Perugino, Botticelli, Raffaello (nei cartoni), fosse stata ripresa in ogni suo stadio dal fotografo giapponese katashi Okamura per un’emittente privata di Tokyo, la Nippon Television Network Corporation, dal 1980 al 1999, con l’acquisto dei diritti esclusivi sulle fotografie e le riprese delle fasi del lavoro. Questo cosa vuol dire? Che ogniqualvolta si pubblicano le immagini della Cappella Sistina, peraltro nella condizione in cui ogni libro su Michelangelo sia stato riscritto completamente per le novita’ scoperte ed apportate proprio dal restauro, si pagano diritti di autore. Su uno anzi sul più grande capolavoro dell’Italia? Si, Michelangelo e’ Made in Italy ma le sue foto Made in Japan. Dall’episodio, non unico ma tra i più eclatanti, noi italiani orgogliosi di esserlo, ove il nostro Paese sia stato in grado di generare, formare i più rinomati ed affinati geni del mondo, siamo stati messi nelle condizioni, per il difficile stato di degrado e di interventi di somma urgenza del nostro patrimonio storico artistico di entrare nell’ottica di ‘produzioni’ che si affiancassero a quelle italiane, ai vari ‘Made in’ che paradossalmente sostenessero il Made in Italy. Incredibile ma vero. Fino ad arrivare ad oggi tempo in cui numerosi dei prodotti delle imprese italiane vengono realizzati in collaborazione con altri Paesi, risparmiando con costi di produzione e manodopera, anche laddove vi sia il rischio che il prodotto italiano scada nella sua qualita’ complessiva. Bella la cooperazione tra i diversi Paesi e le economie ma triste il risultato sulla incompleta integrita’ ed affermazione del Made in Italy nel mondo: eclatanti e noti esempi recenti su cui non ci soffermiamo dall’industria alimentare, farmaceutica, automobilistica.
Ecco dal boom del Made in Japan al Made in China siamo passati in queste ore al Made in America o più precisamente Made in California, la terra dei surfisti, dell’architettura contemporanea, sui cui materiali riflette il sole dalla luce cosi intensa da far sembrare il travertino marmo (mi viene in mente il Getty Museum di Los Angeles) e da ispirare geni contemporanei come il pittore David Hokney e naturalmente fino ad essere anche per la sua luce sede di Hollywood e delle sue produzioni e proiezioni di film. Ma il Made in California non e’ il Made in Italy. Ma cosa vuole dire questa affermazione? E’ solo una dichiarazione che in se’ porta valori, riferimenti, cultura, già know how o anche economia, occupazione, lavoro? Trasferisce tutto con se’ e sposta moltissimo di noi italiani, una conspicua fetta di noi. Gia’ gli studi preliminari che hanno portato alla nascita ad opera di una giovane Fondazione la Paolo di Tarso, di Italia Excelsa, www.italiaexcelsa.com, la piattaforma di bandiera del turismo italiano, supportata nella promozione dal Gruppo editoriale di rete www.comunicareitalia.it, hanno dimostrato che la fetta più consistente dell’economia legata al turismo in Italia non resta nel nostro Paese ma confluisce all’estero. Verso l’America sono destinate le operazioni commerciali di coloro che hanno avuto la capacita’ di divenire colossi sul mercato quali Expedia, che poi ha acquistato Venere, prima italiana e cosi via. E’ di queste ore la dichiarazione di Marchionne, l’amministratore delegato Fiat circa l’accordo definitivo con la casa automobilistica americana Chrysler con una prima ventilata ipotesi di trasferimento della sede centrale Fiat in America. Polemica accesa per l’aiuto che e’ stato sempre dato dal Governo Italiano all’Industria Agnelli per poi rivelare che il cuore dell’industria automobilistica tutta italiana alla fine si sposta in America. Marchionne, tra gli incontri previsti in questi giorni sul tavolo degli investimenti in Italia della societa’, raddrizza il tiro e sostiene che la base resta Torino, con una sede in California, e probabilmente anche in Asia, laddove Fiat come annunciato dal Presidente Obama ha gia’ trasferito le sue capacita’ tecnologiche alla Chrysler! Gulp come si direbbe nei fumetti. Anche la squadra di calcio della Roma, sia pure in un episodio minore ma ampiamente emblematico, in una trattativa riservata, tra qualche giorno potrebbe passare dalla maggioranza della famiglia Sensi a proprieta’ americana. Ma ancora strabiliante e disarmante nel candore con cui e’ stato presentato ‘Art Project’, il progetto frutto tra la collaborazione tra il Ministero per i Beni e le Attivita’ Culturali guidato da Sandro Bondi e l’azienda di Mountain View ‘per promuovere in tutto il mondo il grande patrimonio storico artistico italiano’, si legge nella nota stampa.
Diciassette i musei con cui Google ha collaborato tra cui la Galleria degli Uffizi, 1000 i capolavori da fruire a 360 gradi sull’apposito sito di Google del progetto. Ma avevamo bisogno di Google? No neanche di un gigante come Google. Dopo i reiterati tentativi di affermazione del portale Italia.it in cui sono stati investiti 54 milioni di euro senza alcun esito se non in azzardate e timide presentazioni ad esempio di 100 virtual tour annunciate dal Governo Italiano come se i problemi del turismo potessero risolversi cosi’ e soprattutto trattenere in questo modo in Italia l’economia del turismo, la soluzione del quesito giunge dalla California.
Ma questo cosa comportera’? Come nel caso, anche se diverso ma analogo, del gia’ lontano acquisto dei diritti dell’emittente privata di Tokyo delle immagini dei restauri della Cappella Sistina, oggi direttamente Google, con l’appiglio gradito di diffondere gratuitamente la cultura artistica italiana nel mondo, acquisisce i diritti delle immagini dei più importanti capolavori italiani.
E’ un progetto che permette a chiunque e ovunque nel mondo – si continua a leggere nella nota – di un gran numero di opere d’arte e degli artisti che l’hanno create, a portata di un click. Una prospettiva errata che porta a far appartenere agli altri, in questo caso all’America, i beni culturali italiani ed a fruire cio’ che e’ nostro ‘dall’alto’ non ‘da dentro’. Gia’ è quasi ciò che accade con Google maps. Google maps è uno strumento utilissimo per la ricerca e la visualizzazione di mappe in rete ma ‘la moda’ fa sì che quando, ad esempio, si parla con amici che debbano raggiungerti in un luogo tramite smart phone, questi seguano più google maps che le tue parole: risultato? C’è il rischio di non incontrarsi, quando una cosa buona viene utilizzata in eccesso e la tecnologia diviene moda anziché strumento.
Il sistema dall’alto di Google maps, sia pure avanzato e utile, non assomiglia neanche lontanamente alla spiegazione che io amico, esperto del territorio, ti porgo per raggiungermi, all’elenco puntuale di tutti i luoghi, alla conoscenza dell’area, delle sue peculiarita’, di tutte le sue mete. Sono due piani diversi.
Ed e’ cosi che in un approccio che non è ‘italiano’ vi è l’azzardo che si fruiscano le opere del nostro Paese. Ma l’Italia non aveva altra scelta ‘per restare Italia’? Accipicchia: ha ad esempio lo standard della Fondazione Paolo di Tarso, nella digitalizzazione dei beni culturali che parte dal rispetto della scala dei colori, a cominciare dalla realizzazione della prima Digital Library con gli antichi manoscritti musicali dell’Archivio Papale della Basilica di S. Giovanni in Laterano, in un database che ha già rappresentato l’Italia all’estero e che oggi conta almeno un milione di immagini sul patrimonio artistico italiano e migliaia di virtual tour, con un livello di qualità esclusivo, www.paoloditarso.it. Allora perchè tutto questo? ‘Inoltre grottescamente – come ha da subito rilevato Fabio Gallo, oggi anche Responsabile dell’Area Progetti e del Dipartimento Fotografico della Paolo di Tarso – vengono penalizzate le aziende piccole e grandi, colossi italiani inclusi dunque, che per realizzare ad esempio un’applicazione per la diffusione della stessa cultura italiana all’estero, per quei musei al momento ma speriamo non per tutto il resto, debbano passare da Google per tutti i diritti!
Cosi già le somme finanziarie del turismo italiano sono fuori dell’Italia ed hanno ridotto le imprese del nostro Paese al limite di sussistenza, al collasso, poi adesso dobbiamo anche chiedere il permesso e dare soldi per vedere i nostri beni culturali. E se proprio deve essere cosi, per essere all’altezza dei nostri padri, lasciamo che siano aziende italiane a farlo, a testimonianza di come la ‘genialita’ e la creativita’ del passato viva nell’intelligenza di noi italiani e delle nostre idee, affinche’ ad esempio ‘i nostri giovani’ occupino questa fetta del mercato del lavoro. Un appello accorato perche’ trionfi il Made in Italy, nel concreto, perche’ le vicende ed i problemi più’ importanti del Paese, come anche perché no un aumento del Pil che potrebbe derivare proprio dai beni culturali!, non vengano soppiantati e pilotati nella stampa verso episodi marginali della vita privata del Governo. Per San Valentino? Le foto del nudo del nostro Presidente del Consiglio non ci interessano grazie, ci mortificano nel profondo dell’animo, sia per il poco rispetto per le più alte cariche dello Stato, sia per le modalita’ dell’attuale maniera di fare informazione e politica in generale. E non ci incuriosiscono neppure i volti di giovanissime, di nome Noemi, Patrizia, Ruby o Iris, dietro alle cui situazioni, forme sinuose, sorrisi a tutto tondo, più o meno aggraziati, spesso si nascondono drammi, che la stampa delinea come ‘Ruby gate’ o altro.
Love show al cinema? No grazie. Ma invece ci preme molto ribadire per davvero e dopo aver lavorato tanto sull’argomento, ‘We love Italy’.
Ed in questo semplice ‘We love Italy’ e nella Bellezza del nostro Paese uniamoci, in una stretta di mano solida, seria, lungimirante per fare presto, tra grandi e piccoli, piccoli e grandi, con le nostre tradizioni e capacità, per ribadire ovunque quanto sia magnifico mostrarsi fieri di essere italiani.