Iseppi: «Borghi e cammini per rilanciare il turismo. Ma serve una regia» Il presidente del Touring Club Italiano: «I decreti? Logica di assistenza. Siamo il Paese più attrattivo al mondo ma non siamo più leader. Bisogna passare all’azione»
Ha girato il mondo in lungo e in largo, ma se gli si chiede qual e il viaggio da sogno che non ha ancora fatto Franco Iseppi, dal 2010 presidente del Touring Club Italiano, la più antica (1894) associazione di promozione del turismo del nostro Paese, risponde: «I 4.000 chilometri di costa italiana praticabili, cioè dove possiamo giocarsi una carta importante per il futuro del turismo».
Partiamo da qui, dal rilancio del turismo italiano. Come interverrebbe per risollevare le sorti di uno dei settori più colpiti dalla crisi sanitaria?
«Promuovendo i cammini come un vero e proprio prodotto turistico e ridisegnando i percorsi attraverso strumenti fisici e digitali. Oggi il turismo lento è l’offerta in grado di rispondere alle nuove domande. Non si può più ignorare il fatto che il turista è cambiato tantissimo; più educato e rispettoso dell’ambiente, esigente e mosso dal desiderio di vivere, anche in viaggio, un’esperienza di vita. I cammini, attraverso l’esperienza, danno la conoscenza compiuta dei territori e regalano emozioni. Inoltre, contribuiscono a contrastare i fenomeni di overtourism. Bisogna orientarsi verso un nuovo e più complesso concetto di sostenibilità e adottare una visione integrata di “sostenibilità territoriale”».
Nel Piano Strategico del Turismo 2017-2022 il ministro Dario Franceschini invitava proprio a investire sulle destinazioni emergenti. Che ne è stato di quel piano?
«Non saprei dirle quanto è stato fatto, però so che il Pst ha indicato una strada chiara verso il tipo di turismo che l’Italia intende perseguire. Ha messo in evidenza parole chiave come sostenibilità e territorio. Ora bisogna passare all’azione».
In che modo?
«È necessario individuare una via italiana al turismo, un modello di sviluppo che provi a interpretare i nostri principali asset in chiave contemporanea senza snaturare l’identità del Paese. Il Touring Club Italiano sta lavorando a un modello di borgo, altro grande tema di appartenenza territoriale, legato però alle moderne necessità del viaggiatore. Se rilanciati come luoghi vivi, produttivi e attrattivi, cioè dotati di fonti energetiche alternative, connessione internet e di infrastrutture di comunicazione che ne permettano una facile accessibilità, sono l’esempio perfetto di come ci si possa rinnovare preservando le nostre tradizioni».
Cultura e turismo, qual è il valore di questo binomio applicato al turismo?
«Per il rilancio del Paese è strategico, soprattutto se consideriamo che metà della nostra mobilità turistica è straniera grazie al fatto che ci troviamo al centro della cultura mediterranea. Se vogliamo guardare al domani dobbiamo essere i primi a renderci conto che un viaggiatore su tre si muove attratto dall’area euromediterranea. Bisogna creare immaginari attrattivi che puntino alla culla delle grandi civiltà».
Cosa ne pensa del fondo istituito dal decreto Rilancio per la promozione turistica?
«La logica dei Decreti è una logica di assistenza e di recupero di tutto quello che si è perso con la crisi da coronavirus, penso ai 350mila posti di lavoro stagionali venuti meno e al 20% di strutture che rischia di chiudere. Ma il turismo in Italia è quasi il 13% del Pil nazionale e incide per il 12,5% sull’occupazione generando, a pieno regime, 4,2 milioni di posti di lavoro. Una vera e propria industria che, in quanto tale, necessita di strategie precise e di scelte, spesso, coraggiose».
Eppure, per il solo fatto di avere il maggiore numero di siti Unesco al mondo, l’Italia avrebbe tutte le carte in regola per affermare la propria leadership internazionale per capacità di attrazione turistica.
«Non basta. Siamo il Paese più attrattivo al mondo ma da tempo non siamo più leader del settore. Il problema è che dobbiamo affrontare una serie di criticità di tipo storico come, ad esempio, il rapporto mai risolto tra autonomia e indipendenza di gestione. È giusto che la competenza sia delle Regioni, visto che il turismo per sua natura è territoriale, ma che non ci sia una centralità di Governo né di indirizzo né di controllo reale dà vita a una situazione magmatica. Sembrerà banale, ma un turista che viene in Italia difficilmente accetta che la classificazione degli alberghi fatta a Sarzana sia diversa da quella di Massa Carrara. Soluzioni pragmatiche per rilanciare il turismo esistono, ma comportano una visione di bene comune che non prescinda da una supervisione nazionale degli standard di offerta».
Altri punti dolenti?
«Le concessioni demaniali marittime. In Italia non sono assegnate con gara pubblica, come richiesto dalla Direttiva Bolkestein del 2006, ma affidate dagli enti locali tramite concessioni puntualmente prorogate alla scadenza. Maggiore concorrenza porterebbe invece a entrate più cospicue per lo Stato e a servizi migliori per il pubblico».
Qual è la mission del Touring Club Italiano?
«L’Italia come bene comune e la produzione di conoscenza. Però un turismo più responsabile, consapevole e sostenibile — in una parola più etico — non può essere imposto, va spiegato, fatto capire. Per questo il nostro futuro passa anche attraverso la formazione. Entro la fine dell’anno avvieremo a Milano un Master per manager del turismo in collaborazione con l’Università di Lucca proprio con l’obiettivo di aggiornare e consolidare le tecniche per la valorizzazione e promozione del territorio e delle imprese».
Una definizione per il turismo che vorrebbe
«Copio il ministro della Cultura francese Jack Lang quando parlava di Ecole élitaire pour tous e dico: un turismo elitario per tutti. L’Italia ha una potenzialità di offerte tale da poterci permettere il lusso di essere sartoriali e di confezionare un abito su misura per tutti».
Fonte Corriere.it