I predatori del Turismo Italiano
a cura della Redazione de Il Giornale del TURISMO.IT/
Questo Reportage merita di essere letto più volte dagli esperti. L’Italia e il suo grande Patrimonio Culturale che produce economia ceduto alle multinazionali dall’ignoranza della politica italiana. Oggi escono i dati ma Fabio Gallo, analista ed esperto di Gestione della Conoscenza, lo disse nell’ormai mitica conferenza del 4 Luglio 2013 voluta dall’Associazione Alumni Bocconi e dalla Scuola di Atene a Roma. Ora Fabio Gallo sta coinvolgendo la Politica del futuro in un grande progetto sui Diritti Umani al Cibo Sano, vero potere delle Nazioni che conteranno nel prossimo futuro. Ma pochi sanno di cosa è capace di fare con la Rete. Anzi, con il Potere della Rete.
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Motori di ricerca stranieri che incassano percentuali altissime sulle prenotazioni, politici che hanno sperperato enormi risorse destinate alla promozione internazionale in progetti fallimentari, albergatori incapaci di adeguare l’offerta alle nuove richieste: è colpa loro se l’enorme giacimento di ricchezza rappresentato dal nostro patrimonio naturale e artistico rende molto meno di quanto potrebbe. Voltare pagina però è possibile, anche se faticoso e pieno di insidie, come testimoniano gli sforzi di rinascita di Pompei
FONTE REPUBBLICA - di ALBERTO CREPALDI, ARTURO DI CORINTO e di ANTONIO FERRARA. Video di ANNA LAURA DE ROSA
Grande stagione, ma problemi intatti - di ARTURO DI CORINTO
I numeri non sono ancora ufficiali, ma le proiezioni dicono che l’Italia potrebbe chiudere in bellezza questa stagione turistica, con un aumento del 10% di turisti sul territorio nazionale. Stime che riguardano il quadrimestre delle vacanze lunghe, giugno-agosto, e che potrebbero essere confermate dai dati di luglio e agosto, ma che non prendono in esame i risultati complessivi dell’industria dell’accoglienza turistica dei mesi successivi e quella nei periodi di festa e nei weekend. Ma soprattutto non sono correlati alle performance dei paesi competitori che fanno meglio dell’Italia. Secondo i dati dell’Osservatorio di Federalberghi emerge infatti un incremento tendenziale degli stranieri in Italia pari al 2.5% mentre i nostri connazionali in vacanza arriverebbero addirittura all’8.6%.
Ma allora va tutto bene, madama la marchesa? Forse no, visto che per consolidare questa “ripresina” ci vogliono idee, strategie e investimenti che finora sono mancati. Soprattutto bisogna saltare il fosso di una governance del turismo che fino ad oggi è stata carente. E questo non perché il turismo sia un “servizio pubblico” ma perché se la governance del turismo non è solida e duratura, gli operatori, non sempre illuminati, non sanno su quali fondi e stanziamenti contare; se le organizzazioni non conoscono i numeri e target non possono organizzare strategie e offerte adeguate; se non gli si garantiscono regole certe gli imprenditori si trattengono dal fare investimenti, e così via. Se ili turismo nazionale dipende molto dal clima, dalla flessibilità dell’offerta e dalla fiducia, il turismo “outbound” dipende sempre dalla capacità di attrazione del sistema paese, perciò per consolidare i risultati citati non basta sperare nella ripresa complessiva degli investimenti lasciandosi la crisi alle spalle, ma risolvere una serie di nodi che riguardano l’offerta di prodotti turistici da una parte e la promozione e commercializzazione del marchio Italia dall’altra.
Le virtù del turismo italiano sono molte, ma spesso non bilanciano i vizi, le storture e le forme di un mercato che diventa ogni giorno pù complesso. L’italia ha un ricchissimo patrimonio storico, artistico e paesaggistico. Quasi ottomila chilometri di costa che fanno la gioia di famiglie, diportisti e turisti itineranti; ospita cinquantuno siti tutelati dall’Unesco, dal centro storico di Roma a quello di Napoli, dalla Reggia di Caserta alle meraviglie barocche del Val di Noto; ha un patrimonio naturalistico che copre quasi il 10% del territorio, dalle Dolomiti alle aree marine protette. In aggiunta il nostro paese è da sempre considerato la patria del buon cibo e ogni regione ha i suoi prodottiDop, Docg e moltissime specialità da offrire. Ma allora perché il turismo non è quella miniera d’oro che spesso ci diciamo in maniera orgogliosa ma più spesso consolatoria e disillusa?
I problemi sono diversi: un’offerta turistico alberghiera non sempre competitiva, il ritardo cronico di una ricettività familiare che non investe e non sa parlare al mondo dai nuovi canali della comunicazione digitale, l’incapacità di prevedere i flussi turistici e anticiparne le tendenze, una governance frammentata e divisa tra regioni e governo, per non parlare della fallimentare gestione degli enti di formazione e promozione turistica che troppo spesso occupano le pagine della cronaca giudiziaria.
Ognuno degli ultimi tre ministri del Turismo ha elaborato un suo piano di promozione e valorizzazione dei giacimenti culturali della Penisola: piani pensati ma mai realizzati. Dal famoso progetto di rilancio del ministro Piero Gnudi con le sue 62 azioni guida (e una decina sul digitale) a quello del ministro Massimo Bray, fino al Laboratorio Digitale del Turismo voluto da Dario Franceschini, non si è riusciti a dare la scossa necessaria al turismo italiano. In aggiunta nei ministeri sono state progressivamente stravolte le strutture di promozione turistica, cambiati i dirigenti e bloccati gli enti che lo dovevano gestire.
Alle “sfortune” di Fiumicino, alle difficoltà dei collegamenti aerei e marittimi soprattutto con isole, ai costi non certo competitivi con Croazia, Spagna, Grecia e Tunisia, si aggiunge al quadro dei problemi una comunicazione povera e sbagliata: ricordate la debacle di Italia.it e VeryBello? Se a questo si somma lo strapotere delle Ota, le “online travel agencies” che promuovono in regime di oligopolio la “destinazione Italia” con commissioni usuraie, il quadro è completo.
Per capirci su questo punto, basti pensare che i siti turistici nazionali, regionali, locali, che neanche “si parlano” tra di loro, non permettono l’acquisto diretto on line delle camere d’albergo e dei servizi associati, un compito che viene comunque svolto dalle agenzie di turismo internazionali con margini di intermediazione che arrivano al 35% e che finiscono puntualmente oltreoceano, dirottati da Bookings, Expedia, Trivago, TripAdvisor, riducendo di parecchio i guadagni dei nostri albergatori. Inoltre non esiste un modo per identificare attraverso standard pubblici e verificabili la presenza degli alberghi italiani in rete per renderli rintracciabili in maniera univoca su Internet. Unico punto di forza sono le app turistiche regionali, belle, ben fatte, ma poco scaricate dagli stranieri in visita.
I colossi del web ci lasciano le briciole - di ARTURO DI CORINTO
La ricerca di una destinazione turistica e l’organizzazione di una vacanza oggi passano attraverso l’uso della rete. A farla da padrone sono i motori di ricerca e Youtube che permette di guardare i video dei posti che si vorrebbero visitare e dove si vorrebbe soggiornare. Poi ci sono i grandi siti di prenotazione online che almeno un turista su tre visita prima di programmare un viaggio. Quando chi si prepara ad andare in vacanza cerca informazioni online su siti, app e portali, guarda diverse cose: intanto i costi, avendo bene in mente quanto può spendere, osserva con attenzione foto e video, dà un’occhiata alle recensioni e soprattutto all’elenco dei servizi offerti stilato da chi ne parla. E solo dopo decide. Se le foto e i video sono di buona qualità e i servizi adeguati ai costi, con due click prenota viaggio e albergo. La possibilità di conoscere, valutare e comprare le diverse offerte prima di acquistare un prodotto turistico online è uno dei motivi per cui le agenzie di viaggio sul web ricoprono un ruolo cruciale nel settore. Le Online travel agencies, le (Ota, così si chiamano in gergo), sono le agenzie di viaggio che sul web presentano le strutture alberghiere, i pacchetti turistici disponibili e l’elenco dei servizi correlati (“ancillari”), per programmare un viaggio senza troppi mal di testa.
Le più importanti sono tutte straniere:Expedia, Hotels.com, Priceline, Trivago, e da poco TripAdvisor. Un oligopolio di fatto che le piccole Ota cercano di rompere con una maggiore conoscenza dei clienti e strategie più aggressive grazie a cui emergere nel mare dei motori di ricerca. Speranza che Google si prepara a mandare in fumo. Grazie al suo Hotel Finder tra breve sarà in grado di chiudere una prenotazione senza reindirizzare il cliente sul sito dell’albergo prescelto. Un’idea simile alla procedura di Instant Booking di TripAdvisor. E di fronte a questi colossi c’è poco da scherzare. Per questo il professore Antonio Preiti, neo-consigliere Enit, ha spesso insistito sulla necessità di recuperare quote di mercato investendo nella banda larga e creando il registro digitale delle imprese turistiche, senza escludere l’ipotesi di far nascere una Ota nazionale. Ma il business del turismo italiano per ora è saldamente nelle mani delle Ota, i grandi portali di prenotazione. “Ogni anno – spiega Stefano Ceci, esperto del settore – i nostri operatori dell’ospitalità pagano circa un miliardo di euro in provvigioni sulle vendite che vengono fatturate in gran parte dall’estero. Il turismo italiano ha dunque urgente bisogno di una strategia di promozione e commercializzazione digitale”.
Perché non riusciamo ad averla? Secondo Edoardo Colombo, esperto di innovazione e turismo digitale, già responsabile del sito Italia.it e collaboratore dell’ex consulente della Presidenza del Consiglio per l’Agenda digitale Francesco Caio, “oggi il tema più urgente è la digitalizzazione dell’offerta per favorire la distribuzione diretta e ridurre l’impatto dell’intermediazione. Le Ota fatturano cifre sempre più importanti dai paesi delle loro sedi commerciali, con un costo percentuale che viene associato alla promozione e non alla vendita di un bene o di un servizio che è per sua natura fisicamente in Italia”. “Questo – aggiunge Colombo – comporta di fatto una delocalizzazione dell’industria turistica che dalla vendita di camere si sta estendendo ai ristoranti e ai servizi. Urge quindi favorire la costruzione di un backend di offerta che possa essere riflesso su una molteplicità di front end personalizzati secondo le differenti nicchie di mercato a cui si rivolge”. ”Sul versante delle imprese digitali – osserva ancora Stefano Ceci – le startup italiane che si occupano di produrre innovazione nel turismo stanno crescendo e la nostra associazione è diventata, in poco tempo, il punto di riferimento per centinaia di giovani che lavorano e investono in Italia. Una di queste èhttp://www.travelmesh.net/, un motore di ricerca collegato direttamente agli operatori e che permette al turista di prenotare in un unico carrello l’intera esperienza turistica associando camere con servizi ancillari. Poi c’èhttps://www.musement.com/it/ un portale di promozione e vendita di servizi capace di soddisfare al meglio il desiderio di esperienze in loco dei turisti”. Insomma come dire che se non puoi battere una grande catena di supermercati facendone un’altra, puoi creare una miriade di negozi che vendono la tua merce su tante piazze diverse moltiplicando l’offerta. “Sì è esattamente questo”, chiosa Colombo.
La concorrenza vince su prezzi e promozione - di ALBERTO CREPALDI
‘Il turismo è il petrolio italiano”. L’abbiamo sentito ripetere fino alla noia in questi anni. Giorgio Palmucci, presidente degli albergatori di Confindustria, preferisce però parlare di oro: “Il petrolio finirà, l’oro no… sempre che intendiamo creare le condizioni per sfruttarli i nostri giacimenti!”. Partendo da dove? “Innanzitutto dalla revisione della disastrosa governance sul turismo: abbiamo 20 diversi modi di promuoverci quante sono le regioni, che spendono 900 milioni senza che vi sia a monte una regia”. Basterebbe in fondo prendere esempio dalla Francia o dalla Spagna. Dove esiste un forte coordinamento centrale delle politiche sul turismo. Quello che peraltro auspicava il piano messo a punto da Piero Gnudi due anni fa. ”Ma che fine ha fatto il piano strategico sul turismo?”, si chiede Alessandro Nucara, direttore generale di Federalberghi. Dentro quale cassetto ministeriale sia finito non è dato sapere. “Quello che è certo – confessa amaramente Filippo Donati, albergatore ravennate e presidente nazionale di Asshotel - è che, in assenza di una strategia, il turismo italiano non coglie il vento favorevole che spira a livello internazionale e non cresce come dovrebbe”. Va pur detto che i dati sulla stagione estiva in corso dovrebbero essere i migliori degli ultimi anni: la recentissima indagine di Enit sulle previsioni di vendita per l’estate, condotta presso i principali Tour Operator presenti nei mercati esteri, segnala un aumento del 3% circa dell’incoming dalla Germania e dal Regno Unito, un buon andamento dalla Francia, dalla Spagna e dall’Austria, mentre in Svizzera e in Olanda tutti gli indicatori propendono per la stabilità. Rimane però il fatto che negli ultimi 4 anni, mentre il turismo internazionale è cresciuto a ritmi sostenuti – gli arrivi sono passati da 940 a 1.135 milioni ed i ricavi hanno toccato quota 1.245 milioni di dollari, contro i 919 del 2010 – in Italia gli arrivi internazionali sono passati da 43,6 a 48,6 milioni: una crescita, questa, che vale esattamente la metà di quella realizzata dall’industria turistica mondiale. Ma perché parliamo di flussi internazionali? Perché la vera partita si gioca proprio sulla capacità di intercettare i movimenti turistici globali e di farne il motore della crescita del settore. “Ad esempio – puntualizza Nucara – capitalizzando il dato per il quale l’Italia è il paese che più di altri attrae turisti da paesi extra-Ue (45,9milioni di pernottamenti contro i 36,4 della Spagna ed i 31,6 della Francia, ndr)…. sono turisti high spending, quelli più interessanti, su cui andrebbe fatta una efficace politica dei visti!”
Come ci spiega poi Raffaello Zanini, consulente di lungo corso in ambito turistico, “lo 0,7% della popolazione mondiale (pari a 35 milioni di persone) guadagnerà più di un milione di dollari, e il 7,9% (373 milioni di individui), tra 100mila e 1 milione di dollari: un target da tenere assai presente nelle politiche turistiche”. Ciò, a maggior ragione, perché la domanda interna stagna e nei prossimi anni sarà sicuramente destinata a rinculare. Proseguendo così un trend in atto da 10 anni e confermato anche dagli ultimi dati elaborati da Istat: la componente residente – cioè di italiani – è diminuita infatti di un ulteriore 2,7%. Un dato, questo, purtroppo non compensato da un incremento delle presenze di stranieri. Il 2014 si è chiuso con una sostanziale stabilità rispetto al 2013: gli arrivi hanno visto un incremento dello 0,3%, mentre i pernottamenti sono calati dello 0,2%, attestandosi a quota 184,3 milioni. Numeri, questi, che sono comunque drammaticamente lontani da performance realizzate da altri paesi, nostri vecchi e nuovi competitors.
Stando ai dati riportati dall’”European Tourism 2015 - Trends and Prospectst“, nel 2014 la Germania ha aumentato gli arrivi internazionali del 5,9%, l’Austria addirittura dell’11,4%, la Turchia del 5,4%. Mentre la Spagna, che ha investito 340milioni di euro sulla promozione, ha visto crescere gli arrivi del 4,5%.
Impressionante è in particolare il balzo della Croazia, che solo nel corso dello scorso anno ha visto incrementare arrivi e presenze di quasi il 25%. Si tratta di una vera e propria esplosione di turismo internazionale, che non deve soprendere: il paese balcanico, nel 2013, ha infatti varato un ambizioso piano strategico che fino al 2020 prevede investimenti pari addirittura a 7 miliardi di euro. “Se la Croazia – ci ha detto uno sconsoltato albergatore veneto – ha appena investito 1 milione di euro nel catalogo di Tui (il più grande tour operatore nel mondo, con quartier generale ad Hannover, ndr) mi spiega come fa Bibione a rimanere competitiva con la costa croata ed appetibile per i turisti internazionali?”.
Da Nord a Sud la musica non cambia. “Chiediamoci - rincara la dose Palmucci – come possa competere la Sicilia con le Isole Baleari - che ogni anno ospitano 40 milioni di turisti internazionali, 10 volte quelli che approdano in Sicilia – se nell’isola famosa nel mondo anche per i suoi siti archeologici arriva un decimo dei voli low cost provenienti dalla Germania e diretti alle Baleari”. Il tema delle infrastrutture aeroportuali e più in generale dei collegamenti ci porta dritti, al di là dei numeri, al nocciolo della questione: quello della competitività dell’industria turistica italiana. Condizionata da irrisolte criticità. Come la mancanza di una governance chiara, l’assenza di strategie promozionali di medio periodo, l’utilizzo insufficiente dei moderni canali di commercializzazione, la presenza di strutture obsolete, infrastrutture inadeguate. Per non parlare dei prezzi medi praticati dai nostri alberghi. È pur vero, come ci ha fatto notare Nucara sulla base dell”Hotel Price Index’ di Trivago, che una camera doppia a Roma costa decisamente meno che nella maggior parte delle 25 città europee considerate. Ma Str Global, società multinazionale di benchmarking, ha rilevato proprio pochi giorni fa che il prezzo medio di una stanza in Italia è superiore del 28% a quello praticato in Gran Bretagna e del 55% al costo di una camera in Germania. In Spagna, addirittura, si spende il 60% in meno che nel Belpaese.
Non è dunque un caso se nella classifica redatta a maggio dal World Economic Forum sulla competitività del turismo in 141 paesi l’Italia sia stata condannata all’8° posto nel ranking mondiale. Alle spalle di Spagna, Francia, Stati Uniti. Ma anche di Germania, Gran Bretagna, Svizzera, Australia. Ma se il nostro Paese arranca rispetto ai principali concorrenti europei, c’è un’ulteriore possibile chiave di lettura. Fortemente connessa al fatto che il presidio politico sul turismo è cambiato 8 volte negli ultimi 10 anni e addirittura 4 nell’arco dell’ultimo quadriennio. Pensiamo infatti a come è organizzata la promozione del brand-turismo in Italia ed a come è organizzata in altre nazioni. E’ illuminante, in tal senso, una recente analisi comparativa di Enit su Germania, Spagna, Gran Bretagna e Francia. Ebbene, il confronto appare impietoso. Enit ha all’estero 23 uffici, 11 in meno di quelli delle agenzie di promozione di Francia e Spagna; il personale impiegato da Enit all’estero è pari a 101 unità, mentre Francia e Spagna possono contare rispettivamente su 199 e 209 addetti. Le casse pubbliche delle nazioni considerate sono poi molto più generose verso i propri enti di promozione. Se Enit dispone da anni di 18 milioni di euro, l’appannaggio di Atout France è pari a 34,3 milioni e quello di Turespana ammonta a 62,5. Il governo britannico contribuisce invece alle attività di Visit Britain con 61,2 milioni di euro, mentre Berlino destina 28,2 milioni al German National Tourist Board. Con queste premesse ed a queste condizioni, nonostante i dati incoraggianti della Banca d’Italia mostrino un incremento della spesa degli stranieri nei primi tre mesi dell’anno, appare dunque difficile che almeno a breve un comparto con grandi potenzialità, che vale poco più del 10% del Pil e dà lavoro a circa 2 milioni di addetti, possa diventare il petrolio del Belpaese.
Pompei simbolo della battaglia per rinascere - di ANTONIO FERRARA
Quando, in un’afosa mattinata di fine luglio, i restauratori della soprintendenza archeologica di Pompei hanno iniziato a rimuovere le macerie della Schola armaturarum, hanno tirato un sospiro di sollievo. Quel crollo, che nel novembre 2010 squarciò davanti al mondo il velo delle inefficienze del sistema della conservazione di Pompei, ha risparmiato la gran parte degli affreschi originali e delle murature antiche. L’edificio, luogo di riunione di un’associazione militare, per quattro anni e mezzo è stato il simbolo della rinascita bloccata di Pompei: grandi teloni bianchi hanno ricoperto le macerie del crollo per lunghissimi mesi, rinchiuse all’interno di una recinzione che impediva il passaggio su via dell’Abbondanza. Rimaste lì per quattro anni e mezzo, sequestrate dalla magistratura, una sorta di monumento all’incapacità dello Stato a difendere il proprio patrimonio. Solo da un paio di settimane, la svolta. Il soprintendente Massimo Osanna, ottenuto il dissequestro dell’area, assieme ad architetti e restauratori ha avviato lo “spacchettamento” delle rovine. Un successo, anche simbolico, della faticosa rinascita del sito archeologico forse più famoso del mondo, che non fa però piazza pulita dei tanti problemi con cui è costretto ancora a combattere.
Assemblea selvaggia. L’ultima conferma si è avuta il 24 luglio scorso, quando uno sciopero ha mandato in tilt il sistema di apertura del sito, restituendo l’immagine di un Paese in bilico tra la voglia di innovare e l’incapacità di adeguarsi alle esigenze dei turisti. Come si può sostenere il rilancio turistico di Pompei se in piena estate gli scavi restano chiusi all’improvviso? “Escludo che ci si possa essere una nuova interruzione, anche per le rassicurazioni che ho ricevuto da Cgil, Uil, Usb e ora anche dalla Cisl, che ha tolto le deleghe al rappresentante locale. Sono convinto che le forme di protesta non devono influire sulla fruizione del sito, si tratta di un episodio - assicura il soprintendente Osanna - che non si ripeterà, e sul quale stiamo cercando di far chiarezza”.
Al centro dello scontro ci sono però proprio le strategie di rilancio e in particolare il “sistema Ales“, ovvero l’idea che per tenere aperti gli scavi non servano “necessariamente” i custodi, ma si possa utilizzare altro personale. Come quello della società in house del ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. Un anno fa, proprio ad agosto, a Pompei otto case, un impianto termale, una locanda furono riaperti al pubblico. Dieci monumenti fino ad allora ora negati, la carenza di custodi impediva di tenerli aperti, ma aperti grazie all’accordo sottoscritto fra la soprintendenza speciale per i beni archeologici di Pompei, Ercolano e Stabia e Ales spa. Il loro contratto scade a novembre, ma il generale dei carabinieri Giovanni Nistri, chiamato a guidare la struttura del Grande progetto Pompei, ha indicato ai senatori della VII Commissione nel corso dell’audizione del 4 agosto scorso che la strada per prorogare l’intervento europeo sugli scavi è possibile, si chiama “bridging”, e prevede la prosecuzione a scavalco del progetto sulla programmazione 2014-20. “Stiamo studiando la possibilità nell’immediato di prolungare fino a dicembre 2015 - spiega il soprintendente - e poi prevedere nel Grande progetto 2 un nuovo impiego di personale Ales”.
Le nuove leve. Nel corso dell’ultimo anno - fanno sapere dalla soprintendenza speciale – il personale in servizio nel sito è aumentato di 84 unità, riuscendo così ad ampliare anche l’offerta di visita e garantendo l’apertura di nuove domus. Sforzo premiato dal pubblico: a fine anno il sito archeologico taglierà il traguardo dei 3 milioni di visitatori. Il trend è in costante crescita, e la proiezione aritmetica fissa a 2 milioni e 990mila i biglietti staccati. Un muro, quello dei 3 milioni, simbolico, certo, ma anche denso di conseguenze. Il solo mese di luglio 2015 sono entrati negli scavi 379.519 turisti, l’8,3 per cento in più rispetto allo scorso anno.
Fino al 31 luglio scorso Pompei è già stata visitata da 1.710.138 persone, una media di 8100 ingressi al giorno, un più 14 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Nel 2014 i visitatori in tutto sono stati 2.621.803, e rispetto al 2013 si segnala un incremento di 208.288 unità. Gli introiti da biglietto (costava 11 euro) sono stati 21.076.994,55 di euro, un milione in più rispetto al 2013, con 656.847 ingressi gratuiti. Numeri che confermano Pompei continua a essere il terzo luogo d’arte più visitato in Italia, dopo i Musei vaticani e il Colosseo.
L’orgoglio del governo. “La riapertura della Palestra Grande, con gli affreschi recuperati dagli scavi del complesso dei triclini in località Murecine e la possibilità delle visite notturne – ha detto Dario Franceschini – sono un ulteriore segnale dei progressi che stiamo registrando”. Il 20 marzo un altro gioiello dell’arte antica era stato restituito al pubblico: la Villa dei Misteri con lo straordinario ciclo degli affreschi dionisiaci, dopo due anni di restauri. “Ci sono miglioramenti molto importanti nello stato di conservazione dell’intero sito archeologico di Pompei e nella sua gestione - disse allora Franceschini - e come riconosciuto dall’Unesco i risultati sono tangibili e significativi, il bilancio è positivo: c’è stato un vero e proprio cambio di passo e questo ci fa guardare con ottimismo alla rinascita di Pompei”. Apertura che dallo scorso 6 agosto è stata estesa dalle sole visite in notturna anche a quelle di giorno.
Il rebus dei cantieri e dei restauri. “Basta farsi una passeggiata negli scavi per rendersi conto che ormai Pompei è un grande cantiere che vede in corso d’opera attività di restauro e messa in sicurezza - afferma Osanna - è in programma un grande intervento sui fronti di scavo per la mitigazione del rischio idrogeologico in aree in gran parte ancora non scavate, fondamentale a contrastare e arginare le situazioni di crollo e la sicurezza generale di Pompei”. Una rivendicazione che ha convinto anche il comitato dell’Unesco a chiedere di estendere il Grande progetto Pompei oltre il 2015 e di includere anche le regiones IV, V e I all’interno del progetto dei lavori. Ma i dati della terza relazione al parlamento del generale Giovanni Nistri sullo stato di attuazione del Grande progetto disegnano un quadro con luci e ombre, a cominciare dai dati della spesa effettiva: appena 15,5 milioni di euro su 130 milioni di interventi banditi al 31 luglio, solo 5 cantieri conclusi, 5 le attività chiuse, 33 cantieri in corso, 8 le attività avviate, una disponibilità di fondi ancora di 7,5 milioni da impegnare su nuovi progetti. Nistri rivendica l’accorciamento dei tempi delle procedure di gara (“una media di 50 giorni” ha detto ai senatori) e la “smeridionalizzazione” delle imprese che lavorano ora negli scavi: da un ristretto gruppo di aziende campane si è passati oggi a 39 ditte attive a Pompei provenienti da 9 regioni italiane.
Il suk di piazza Esedra. Ma il turismo a Pompei non potrà mai decollare se non si eliminerà l’indegno spettacolo del suk che avvolge il sito archeologico. Da dovunque arrivi, il turista viene “assalito” o “intruppato”. Chi arriva in treno, a bordo degli affollati e scalcagnati vagoni della Circumvesuviana, viene accolto all’uscita della stazione di “Pompei scavi Villa dei Misteri” da venditori di bibite e di visite guidate: questi ultimi esibiscono un cartellino con su scritto “Città di Pompei”, e dirottano gli ignari turisti che vengono da Napoli o da Sorrento verso i chioschi privati di tour a pagamento. Per rendersi conto da vicino di quello che sta accadendo a Pompei, per capire se e in che modo la strada della rinascita culturale e turistica sia stata effettivamente intrapresa, il 28 ottobre si riunirà a Pompei, in seduta straordinaria, il Consiglio superiore beni culturali e paesaggistici, il massino organismo consultivo del ministro dei beni culturali. Lo ha proposto il presidente Giuliano Volpe: “A Pompei bisogna uscire definitivamente dalla politica dei restauri, che ha ancora animato il Grande progetto, e passare a quella della manutenzione programmata. Migliorare la comunicazione, con un uso intelligente delle tecnologie. Evitare un eccesso di pressione dei turisti, distribuendo i flussi nella città e nell’intero territorio vesuviano, che ha siti altrettanto straordinari ma poco noti. Avere il coraggio di ripensare completamente il rapporto con il pubblico: in questo senso anche la figura tradizionale del custode stravaccato su una sedia a leggere il giornale, che chiede la mancia per far visitare il lupanare o una domus chiusa, che tutti abbiamo conosciuto negli anni passati visitando Pompei, deve essere definitivamente archiviata.
La corsa ad ostacoli del nuovo Enit - di ARTURO DI CORINTO
L’Enit, l’Agenzia nazionale del turismo del Mibact, ha da poche settimane un nuovo consiglio di amministrazione. Composto da Evelina Christillin, Antonio Preiti e Fabio Lazzerini, ha il difficile compito di gestire la trasformazione dell’agenzia da ente di diritto pubblico a ente di diritto privato come previsto dal nuovo statuto da poco registrato dalla Corte dei Conti dopo sei mesi di rimpalli. Ma i tre hanno un compito anche più grave, quello di tentare l’ennesimo rilancio del turismo italiano traghettando l’ente in un contenitore più articolato, una struttura capace di promuovere il Made in Italy nel commercio e nel turismo, anche attraverso lo sport, vecchio progetto del presidente del Consiglio Matteo Renzi.
Per fare tutto questo non si sa da dove verranno i soldi, tuttavia l’ente può fare affidamento sul piccolo tesoretto lasciato in dote dal direttore generale Andrea Babbi che il 30 giugno si è dimesso con una lettera in cui chiede a Renzi di occuparsi direttamente del turismo italiano. Il direttore, rispettato tecnico del turismo, inventore della notte rosa riminese, appena arrivato si era autoridotto lo stipendio da 180 a 150mila euro, e stessa cosa aveva fatto con i dirigenti, attirandosi parecchie inimicizie, dentro e fuori l’ente. Ma alla fine Babbi è riuscito a risparmiare 1 milione di euro dalle spese del personale, un milione di euro dalle spese generali (eliminando auto blu e mazzette di giornali) e altri 4 milioni li ha recuperati dai creditori storici dell’Enit, secondo una progressione evidente nel bilancio 2014 pubblicato sul sito Enit.
I tre membri del cda dovranno comunque gestire una situazione complessa per una serie di motivi. Prendono in mano l’ente ad Expo finito, dovranno trattare con gli impiegati che potranno scegliere se diventare dipendenti privati oppure chiedere la mobilità verso altra amministrazione dello Stato, e dovranno poi decidere come usare il patrimonio immobiliare dell’ente (stimato in 38 milioni di euro nella relazione di fine mandato approvata il 26 giugno 2015).
Christillin e company dovranno inoltre fare a meno del Convention Bureau nazionale la cui dotazione finanziaria è stata usata per pagare i dipendenti di un’altra società del Mibact, Promuovitalia, anziché le iniziative a cui era dedicato, e cioè la promozione e lo sviluppo del turismo congressuale e fieristico; dovranno fare a meno dell’ormai abbandonato Osservatorio Nazionale del Turismo che produceva analisi e studi per meglio intercettare i flussi turistici interni ed esteri e dovranno recuperare le posizioni perse alla UNWto, l’organizzazione mondiale del turismo alle Nazioni Unite che coordina le politiche turistiche di tutto il mondo e a cui versiamo 350 mila euro all’anno.
La gatta da pelare più grossa rimane tuttavia il fallimento di Promuovitalia Spa, la società a cui il Mibact affidava i progetti legati al turismo e di cui l’Enit rappresenta il socio cieco (vedi anche la nostra inchiesta “La truffa milionaria del rilancio del turismo“). La Spa messa in liquidazione dal ministro Franceschini con la legge 106/2014 dai conti in ordine del bilancio 2012 è passata a una voragine di 17 milioni di euro del bilancio 2013 approvato però solo quest’anno. Così mentre la Corte dei Conti indaga, non si sa chi dovrà pagare questi 17 milioni che visto che il Mibact non la ritiene più una sua controllata, nella forma di una in house providing, al contrario del Mise, il ministero Sviluppo economico, che gli affidava piani e progetti europei e che adesso chiede indietro 6 milioni di euro, con poche speranze di averli. Il 30 giugno Promuovitalia è stata dichiarata fallita e il 12 luglio un singolare furto di computer ha fatto sparire molti dei documenti su cui il tribunale fallimentare avrebbe potuto valutare le responsabilità degli amministratori. Intanto la procura di Roma procede nelle indagini su Promuovitalia, indagini per minacce, furto computer, manomissione di verbali, server informatici e fatture false (indagano i pm Plastina, Galanti, Amelio) mentre i parlamentari della Repubblica hanno inoltrato al ministro competente ben 22 interrogazioni parlamentari sulla gestione Promuovitalia/Enit/Mibact.